Il cinema immersivo è il futuro

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Il cinema attuale, derivazione moderna dell’antico analogico, ha cinque caratteristiche: struttura statica e lineare, modalità duale, episodico, prevalentemente in terza persona e non interattivo. Vedremo più avanti cosa vuol dire ognuna di queste voci, mentre continuo a pensare a quello che sarà il cinema del futuro, al cinema immersivo, e a come realizzarne un buon prototipo.

Ho iniziato questo articolo in un treno svizzero, e l’ho terminato dell’affascinante Espai Joliu di Barcellona. Amo i treni, il fatto di poter lavorare o rilassarsi mentre ci si sposta tra due località. Tra i miei benefit aziendali c’è l’abbonamento generale a tutti i mezzi di trasporto in Svizzera: la mia fortuna. Alcuni giorni di congedo lavorativo, approfitto per raggiungere Domodossola (la prima località italiana oltre confine), o girare in lungo e in largo per il Paese degli Elvezi, che riserba sorprese e angoli magici un po’ ovunque.

Treni alla stazione di Spiez, in Svizzera.
Treni a Spiez, Svizzera

Quanto conta l’immersività nel cinema del futuro

Faccio parte del filone di pensiero, ormai sempre più in voga, che immagina per il cinema un’unica evoluzione: il cinema immersivo. Secondo i puristi, o “tradizionalisti”, il cinema deve essere lasciato così com’è. Ma abbiamo già visto che, in fondo, non per forza hanno ragione.

Come avrete notato, non sono affatto cadenzato nella pubblicazione di articoli sul mio blog. Non amo i piani editoriali online, preferisco la qualità alla quantità, evitando articoli poco approfonditi solo per uscire “venerdì alle 7”. Questo articolo mi ha richiesto giorni di ricerche, forse di più, e chiaramente il blog non è la mia attività primaria, ma ne è venuta fuori una carrellata di idee e di personaggi che spero sia una risposta definitiva alla domanda: come sarà il cinema del futuro?

In pochi hanno provato ad innovarlo seriamente, e in questo articolo ne conosceremo alcuni. Di certo non per mancanza di mercato. Piuttosto per mancanza di risorse, ultimamente sempre più proiettate al lucroso, e più gestibile, mondo virtuale.

Questo articolo segue da: Innovare il cinema moderno

Vantaggi e svantaggi del cinema moderno

Ragazza che sta guardando un film con lo smartphone.

Riflettevo sui vantaggi del cinema per com’è concepito oggi:

  • Se ne può usufruire in mobilità, anche qui sul treno.
  • Si possono compiere altre azioni, delegando all’audiovisivo il mero ruolo di compagno.
  • Se ne può usufruire in compagnia.

Altri vantaggi li chiedo a voi, vi prego davvero di commentare. Passando agli svantaggi:

  • Le modalità di fruizione si aggiornano poco da decenni.
  • Non è in grado di “riempire” tutti i sensi dello spettatore.

Andiamo quindi a creare un sistema, usando tecnologia già esistente, in grado di ridurre al minimo questi svantaggi.

Analisi dei vantaggi e svantaggi del cinema moderno

1) Si può usufruire del cinema in mobilità

Chiaramente, il cinema “old style” per definizione è destinato alla sala. Una produzione, per rientrare dei costi, deve però essere fruibile dal maggior numero di persone possibili. Un buon sostituto al piccolo schermo sono i visori per la realtà virtuale, che permettono di visualizzare video stereoscopici a 360°.

2) Si può fare altro mentre si guarda un film

Qui la realtà virtuale, allo stato attuale, mostra tutti i suoi limiti a causa dell’isolamento completo che crea. Bypassare questo limite è forse possibile con la realtà aumentata, o con un serio aggiornamento della tecnologia di virtual reality esistente.

3) Si può guardare un film in compagnia

Progettando un aggiornamento del sistema cinema inteso come “sala cinematografica”, da decenni esiste una tecnologia usata soprattutto nella divulgazione scientifica: il fulldome, cioè proiezioni in una cupola. Lo stesso sistema non è nuovo però alla sperimentazione filmica, anche da parte di grandi Maestri del passato.

4) Le modalità di fruizione si aggiornano poco da decenni

Il primo svantaggio del cinema è piuttosto una constatazione. Se, da una parte, grandi registi o aziende hanno portato innovazioni immense nelle modalità di ripresa (pensiamo all’Avatar di Cameron con una Motion Capture all’ennesima potenza, o alla Industrial Light & Magic che insieme ad Epic ha dato il là ad una seria Virtual Production), poco si è fatto per le sale.

Il passaggio dalla pellicola al digitale, senza volerlo sminuire, è equiparabile al cambio della nostra TV di casa. Miglior qualità, minori costi di distribuzione, al massimo stereoscopia ma per il resto tutto come prima.

5) Non è in grado di “riempire” tutti i sensi dello spettatore.

Un secolo fa grande innovatore, il cinema di oggi non riesce ad offrire quel “qualcosa in più” rispetto ad altri strumenti più moderni.

Guardando un iPad o una TV moderna, il campo visivo coperto dall’immagine è di circa 25°. Lo schermo cinematografico, in media, copre un campo visivo di 50° sui 360 della sfera (dipende molto dalla posizione in sala). È necessario incrementarlo, se davvero si vuole tornare ad offrire quell’effetto “wow”, dovuto all’immersione, che vale il viaggio e il biglietto.

L’acustica è già molto buona; i sistemi Dolby Digital permettono un’ottima immersività. Ciò che manca, è ancora il tatto, l’olfatto e, perché no, anche il gusto.

Perché la realtà virtuale non è popolare

Ho cercato di capire il perché non si abbia mai voglia di mettere il casco in testa, e mi ha certamente aiutato un recente paper / sondaggio della University of Glasgow firmato da Laura Bajorunaite, Stephen Brewster e Julie R. Williamson.

Il paper tratta nello specifico l’uso dei visori VR nei trasporti pubblici, di per sé un luogo di frequente fruizione cinematografica. Ma il discorso è allargabile, con i dovuti adattamenti, un po’ più in generale.

Alla base ci sono chiaramente motivazioni di sicurezza personale, ma anche di confort. L’accettazione sociale è inoltre ancora lontana, rendendo “stupidi” gli utenti VR agli occhi degli altri passeggeri. Si fanno, ancora, passi avanti per rendere il proprio mondo virtuale più integrato con il reale.

Ad esempio, gettare un occhio di tanto in tanto al mondo reale con le videocamere installate sul visore, o avere indicazioni sul posizionamento degli altri esseri umani nello spazio reale, può tranquillizzarci. Bisogna evitare una Virtual Reality completa a favore dell’Augmented Virtuality; così definita già nel 1999 dal Prof. Paul Milgram nella sua linea di continuità da mondo reale a mondo virtuale.

Virtual Reality Continuum, di Paul Milgram

Vi invito a leggere il paper per approfondire, ma il concetto di cui dobbiamo tener considerazione è che l’immersività totale è un problema.

Il cinema immersivo

New York World's Fair del 1964
New York World’s Fair del 1964, con il “Moon Dome” di To The Moon and Beyond in primo piano. Foto di Doug Coldwell da Wikipedia.

Abbiamo già percorso dettagliatamente la storia del cinema fulldome (articolo disponibile qui), ma To the Moon and Beyond (Verso la Luna e oltre), è da molti considerato come il primo film immersivo della storia. Il primo a coprire un campo visivo di 360°, filmato con la tecnica Cinerama usando una singola lente fish-eye, su pellicola 70mm a 18 fps, e proiettato nel tetto di una grande cupola alta circa 30 metri.

Se il suo utilizzo era ancora in qualche modo “didattico”, ci si allontanava dai canoni astronomici per portare invece un maggior coinvolgimento verso le tematiche del trasporto. Il film influenzò anche Stanley Kubrick, tanto da assumere i suoi creatori come consulenti VFX per il leggendario 2001: Odissea nello spazio. Lester Novros e il nostro prossimo protagonista: Douglas Trumbull.

Douglas Trumbull, una missione: salvare il cinema

Douglas Trumbull
Douglas Trumbull. Immagine di Jorge Ferrer da Wikipedia.

Douglas Trumbull è stato un uomo con una grande idea: i film possono essere più realistici e più coinvolgenti di quanto già siano.

Mi sarebbe piaciuto conoscerlo di persona, era un mito per me. Tentai di scrivergli un paio di volte offrendomi di andarlo a trovare nei suoi Trumbull Studios nelle campagne del Massachusetts, ma non ottenni purtroppo risposta. Forse gli indirizzi che avevo non erano più attuali, forse era troppo impegnato oltre che anziano. Non so, fatto sta che ormai non è più tra noi se non tramite i suoi studi che ancora hanno il tempo per cambiare la storia del cinema.

Fu uno dei più grandi esperti al mondo di effetti speciali, prima analogici e poi digitali. Creatore di strabilianti capolavori grafici nel top della produzione hollywoodiana dello scorso secolo (2001: Odissea nello spazio, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Star Trek…). Dopo aver iniziato a fiutare il decadimento delle sale cinematografiche tradizionali, ha dedicato la sua intera esistenza nella ricerca di una soluzione. Che anche lui trovò nel cinema immersivo, come vero pioniere.

Una scena di 2001: Odissea nello spazio.
Una scena di 2001: Odissea nello spazio

Forse per la sua abitudine all’analogico, a trovare sempre idee fisiche e reali piuttosto che creare una nuova app o un nuovo sistema per monetizzare il tempo degli utenti mentre sono soli o a casa, Douglas era un artigiano multinazionale. Di certo aveva l’arte nel DNA: suo padre, Donald (Pappy Trumbull per gli amici) si occupò di VFX sin dagli anni ’30. Non accreditato ufficialmente, lavorò ne “Il Mago di Oz” del 1939.

Fu proprio durante le riprese di 2001: Odissea nello Spazio che, solo venticinquenne, Doug creò il leggendario flusso di colori psichedelico “Slit Scan” sulla base della tecnica sviluppata poco prima da John Whitney per Vertigo.

Effetto Slit Scan in 2001: Odissea nello spazio

L’immersività è il futuro del cinema

Riporto una parte di un’intervista fatta da Filmmakermagazine.com allo stesso Trumbull.

Se guardi al settore, si sta muovendo sempre di più verso esperienze immersive. Prendi la realtà virtuale, per esempio; il problema è che le persone non vogliono indossare il visore. L’immersività è ciò che la TV non può offrire; quando il 3D è decollato, tutti hanno iniziato a realizzare televisori 3D. Ma ora nessuno li fa più.

Penso che il problema fosse la miniaturizzazione. Quando guardi un’immagine 3D sul grande schermo, hai una figura di 6 piedi (1,82 metri) in piedi di fronte a te, mentre quando la metti su uno schermo TV hai come una figura di 6 pollici (15 cm). Quando ho preso i progetti su cui stavamo lavorando e gli ho riprodotti sullo schermo televisivo per vedere che aspetto avessero, l’effetto si è perso completamente.

Douglas Trumbull

Magi Pod: innovare la sala cinematografica

Douglas Trumbull nei suoi ultimi anni di vita ha sviluppato con i Trumbull Studios un sistema che univa molti dei punti chiave per il rinnovamento delle sale cinematografiche. Una riprogettazione tanto dei sistemi di ripresa, quanto di proiezione. Alla base, la proiezione 4K a 120 fps risolve un problema già denunciato da Kubrick oltre 50 anni fa: il blur dei 24 fps è antipatico e irrealistico. Per questo già 2001: Odissea nello spazio venne girato ad elevato framerate, seppur quasi nessuna sala si attrezzò per la riproduzione.

Trumbull desiderava riproporre la magia che lui stesso provava nel visitare gli schermi curvi del Cinerama durante l’infanzia. Ma tecnicamente erano tanti i problemi da risolvere.

Risolvere i problemi della proiezione 3D

Per cominciare, proiettare in stereoscopia richiede di dimezzare il framerate (o raddoppiare i proiettori, che risulterebbe antieconomico). Ciò vuol dire proiezione a 60 fps per occhio.

C’è poi un altro problema, più concreto: nei film 3D vengono registrate entrambe le immagini (destra e sinistra) in contemporanea. Ma vengono poi proiettate una dopo l’altra, alternativamente (occhio destro, sinistro, destro, sinistro ecc…). C’è quindi una piccola differenza non percettibile visivamente, ma non trascurabile dal nostro inconscio. Soluzione? Registrare le due immagini con una distanza di 180 gradi / otturatore, quindi alternativamente, come verranno poi proiettate. Il che risolve un secondo problema, che riguarda il “cinematic look”.

L’elevato framerate non è infatti usato nel cinema perché rende il prodotto troppo simile al video e alla TV. Trumbull ha concluso quindi di aumentare l’effetto flicker originariamente dato dai 24 fps cinematografici grazie dalla registrazione dei fotogrammi destro e sinistro della stereoscopia con 180 gradi / otturatore di distanza. Oltre a ridurre la luminanza dello schermo (nel Magi pari a 14 FtL, meno di 50 lux), ma non riducendo il gain dello schermo stesso.

L’intero brevetto Magi ha come scopo aumentare il coinvolgimento del pubblico: si traduce nella proiezione nel Magi Pod.

Un piccolo cinema, 70 posti tutti in zona di miglior visione; schermo argentato toroidale (curvato sia orizzontalmente che verticalmente) con gain di 3x per aumentare contrasto e quindi immersività; 32 speakers per effetto surround aumentato; subwoofer rotativi in grado di raggiungere 1 Hertz, che creano un effetto “4D” con le assurde vibrazioni.

Anni di esperienza di Trumbull alla guida dei comparti tecnici dei più grandi blockbusters, in un unico, magico, cinema immersivo. Se la conoscenza deve andare sempre avanti, non si può non tenerne conto nella progettazione del cinema del futuro.

I riflessi incrociati nel cinema fulldome

Progettando un cinema fulldome, le differenze con il Magi Pod sono tante e fondamentali. Il Magi non riempie infatti una cupola, ma solo una parte di essa. E non si può semplicemente “allargare” il campo visivo sino a comporre i 360 gradi. C’è un primo grande problema: i riflessi incrociati.

Chiunque abbia lavorato con schermi per proiezione ad alto guadagno si sarà infatti reso conto che uno schermo argentato e amplificato 3X è una specie di specchio. Riflettendo tanto la luce che arriva dall’esterno, quanto la stessa immagine proiettata da una parte all’altra nel caso di uno schermo convesso. Problema che sperimentò anche la produzione di Steven Spielberg, del 1991, Back to the Future: The Ride; riproposizione fulldome dell’originale Ritorno al Futuro.

Limitandone il raggio, e mantenendo gli spettatori entro un angolo ottimale di visualizzazione (quindi in posizioni centrali) il problema si riduce sin quasi ad azzerarsi. Ma una sfera completa deve necessariamente essere uno schermo bianco con rapporto di riflessione inferiore a 1, oppure la soluzione è tutta da studiare. E in questo caso dovremo sicuramente fare esperimenti pratici prossimamente.

Immersività nel cinema del futuro

Difatti, quasi ogni studio pregresso di cui parliamo in questo articolo è in qualche modo legato al mondo digitale. Ma, come forse saprete, sono un convinto fautore della socialità e del ritorno alla vita reale.

La sala dovrà somigliare ad una macchina dello spazio e del tempo, dove si entrerà in una dimensione totalmente nuova per tutta la durata della proiezione, e da cui se ne uscirà con un’esperienza completa. Soprattutto, in compagnia.

Il mondo si avvia verso la conquista dello spazio, che sarà inizialmente nelle possibilità di pochi eletti. Gli altri vorranno provare esperienze nuove, e dovranno farlo stando necessariamente a terra.

Cinque sensi per un cinema immersivo

Lo spettatore dovrà essere protagonista, pertanto anche la narrativa dovrà cambiare. Ricordiamo bene: senza scomodare l’intuito, il sesto, ci restano comunque altri cinque sensi.

Henry Jenkins
Henry Jenkins, da http://henryjenkins.org

Il cinema attuale, duale, riesce a coprirne solo due: la vista e l’udito. E, soprattutto per la vista, possiamo fare molto per migliorare la situazione. Leggendo il numero di Wired Italia di dicembre 2021 (rivista che è sempre piena di spunti interessanti) ho trovato questo paragrafo in un articolo di Henry Jenkins (docente alla University of Southern California, per più di 10 anni direttore del programma di studi comparati sui media al Mit di Boston; non l’ultimo degli arrivati):

Sono convinto che il metaverso non sarà il futuro sia perché apparecchi come i visori Oculus sono tremendi (soprattutto per chi, come me, porta gli occhiali), sia perché non è l’esperienza visiva a garantire il livello di immersione più alto, ma quella audio e aptica, come dimostrano decenni di studi e pionieri come Metthew Shifrin e Nonny de la Peña.

Henry Jenkins

L’idea di Jenkins, in molti aspetti simile alla mia, mi ha incuriosito a conoscere il musicista Matthew Shifrin.

Matthew Shifrin: i Lego e il cinema del futuro

Matthew Shifrin è un giovane musicista, cieco dalla nascita. Sin da piccolo appassionato di Lego, questi gli permettono di sperimentare, toccare, “vedere” senza occhi. Grazie al tatto, e quindi anche ai Lego, può capire come funziona il mondo; com’è fatto. Secondo il suo eloquente esempio, non potrà mai sapere che forma ha la Statua della Libertà senza arrampicarvisi. E arrampicarsi sulla Statua della Libertà può essere problematico… Pertanto, una piccola Statua di Lego svolge perfettamente la sua funzione.

È il suo tredicesimo anno di vita. Alla porta suona Lilya, amica di famiglia. Si avvicina a Matthew a passi leggeri, lo guarda e gli dice allegramente: ”Ho qualcosa per te!”. Matthew, confuso, le sorride mentre la donna gli pone un pacchetto tra le mani. Il bambino lo apre, toccando un foglio interamente scritto in braille: sono le istruzioni per costruire, da solo, le strutture Lego. Gli brillano gli occhi, tanto è felice. E vuole subito mettersi al lavoro.

Lego for the blind

La vicenda lo porta a fondare, anni dopo, “Lego for the blind“. Un’associazione, con relativo sito web, dove scaricare istruzioni come queste per una trentina di prodotti Lego. E convince la stessa azienda a inserirle nei nuovi prodotti. Ha realizzato anche un sistema per aiutare i non vedenti a scalare le rocce, davvero geniale.

Sicuramente un personaggio interessante; ma vi starete chiedendo perché parliamo di lui in un articolo sul cinema del futuro. Vi capisco, ero talmente preso dalla sua storia che per un attimo l’ho fatto anch’io. Poi ho ricordato dove volevo arrivare.

Nel suo TEDx Talk alla Suffolk University, a partire dal minuto sei, lo spiega bene e in forma molto divertente (purtroppo è solo in inglese, ma potete usare i sottotitoli).

Non vedenti al cinema del futuro

Il punto è questo: se il mondo riesce ad essere immersivo per un non vedente, il cinema non potrà mai essere immersivo in maniera simile o uguale al mondo reale se non lo sarà per un non vedente. Il fatto che il cinema del futuro possa essere usufruito in maniera migliore anche da persone con disabilità, non potrà che essere un ottimo e stimolante effetto collaterale.

Mentre studia canto e fisarmonica al New England Conservatory di Boston, continua a cercare soluzioni per rendere la vita moderna più adatta a persone come lui.

Nell’episodio 3 del suo podcast Blind Guy Travels, Matthew descrive le uscite al cinema con il suo amico Ben. La necessità di avere Ben per descrivergli la parte visiva di ogni singola scena, e persino così non avere un’idea completa del tutto, lo porta a creare con la sua Università un apparecchio tattile per il cinema.

Con il supporto dell’Entrepreneurial Musicianship Department del New England Conservatory, Matt e il suo socio in affari hanno sviluppato un giubbotto vibrante programmabile integrato con una tecnologia che imita le sensazioni di ribaltamento, volo e caduta. Ciò consente a un nuovo pubblico di seguire efficacemente la saga Marvel Daredevil, un avvocato cieco che di notte diventa supereroe.

Ho scritto da alcuni giorni un’email al conservatorio chiedendo maggiori dettagli su questo sistema, senza purtroppo ricevere risposta. Mi riprometto di commentare questo articolo se avrò novità in futuro, la cosa è interessante.

Parleremo del cinema esperienziale

Ragazza al cinema con gli occhialini 3D.

Ho pronta un’analisi delle caratteristiche del cinema attuale, e di come si evolvono nel cinema esperienziale. Di come quest’ultimo sia interattivo, immersivo, algoritmico e altri studi importanti ai fini della creazione del nostro cinema del futuro.

Ho deciso però di terminare l’articolo qui, stava diventando troppo lungo e dispersivo. Ho già copiato il testo in un nuovo post WordPress, che completerò al più presto e pubblicherò.

Vi rinnovo l’invito a commentare, a farmi partecipe di dubbi e critiche, e soprattutto a partecipare in questa innovazione nel caso sia di vostro gradimento. Potete anche scrivermi, il mio indirizzo è dario.riccio@gmail.com. A presto!

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